L’avidità di potere per la più alta carica del mondo

E Dante s’inchina reverente al Papa, Successore di Pietro, chiunque egli sia o sia stato

Dopo aver sognato la femmina «balba», confusa e svergognata dalla donna «santa e presta»Dante (Alighieri, 1265-1321) segue Virgilio (P. Virgilio Marone, 70 a.C.-19 d. C.) che si è messo in cammino. A un certo punto sente una voce: «Venite: qui si varca» (Purgatorio XIX, v. 23), cioè si può salire. È l’angelo della quinta cornice, dalle candide ali di cigno, che fa vento sul volto di Dante, cancellandogli così un’altra «P» (la quarta) dalla fronte e affermando «Beati qui lugent», «Beati coloro che piangono», perché saranno consolati.

Appena entrato nella quinta cornice, Dante rimane colpito da una distesa di anime che gli appaiono nude e tutte volte a terra, mentre con alti sospiri recitano il versetto di un salmo: «Adhaesit pavimento anima mea» (Sal 119, 25), «Si è attaccata al suolo l’anima mia». Si tratta delle anime degli avari e dei prodighi o scialacquatori che qui si trovano perché sia si volsero con cupidigia ai beni terreni (avari) sia, al contrario, dissiparono le proprie sostanze in godimenti fine a se stessi (prodighi). Insomma, non vollero o furono incapaci di volgere lo sguardo al Cielo. Ma il contrappasso si completa con le mani e con i piedi legati per significare che il peccato di avarizia — o di prodigalità — fu di ostacolo a compiere opere di bene.

Segue poi il colloquio di Dante con un’anima che aveva indicato ai due il miglior modo di proseguire e a cui il Poeta anzitutto chiede di dire chi egli sia e perché si trovi lì a soffrire tale pena. Risponde l’anima: «Scias quod ego fui successor Petri» (Pg. XIX,v.99),«Sappi che io fui successore di Pietro». È l’anima di Ottobono Fieschi (1205 ca.-1276), della nobile famiglia genovese dei conti di Lavagna che, eletto Papa con il nome di Adriano V l’11 luglio 1276, dopo solo trentotto giorni di pontificato, morì il 18 agosto dello stesso anno. Nel canto confessa a Dante che quel mese e poco più gli bastò per comprendere quanto costi il “gran manto” a chi voglia portarlo con l’impegno e con lo spirito necessari per quel compito altissimo. Insomma, in quel breve periodo comprese che la sua vita precedente, che per avidità di potere lo aveva portato al soglio pontificio, era una esistenza bugiarda che però infine accese in lui l’amore per la vita vera. A questo punto Dante si inginocchia per riverenza nei confronti di un personaggio che fu Pontefice, ma Adriano lo invita ad alzarsi dicendogli che lui, al pari delle altre anime, altro non è che un servo di fronte a una sola autorità, quella di Dio. E invita Dante a meditare sull’episodio riferito da san Matteo (cfr. Mt 22,24-30) in cui Gesù risponde ai Sadducei che volevano sapere dal lui a chi sarebbe appartenuta, dopo la resurrezione dei corpi, la donna che aveva sposato sette fratelli, morti uno dopo l’altro. Cristo aveva risposto che, nella resurrezione, le donne né sposeranno («Neque nubent», Pg. XIX, v. 137) né saranno sposate, ma saranno come gli angeli di Dio in cielo. Papa Adriano, con l’esempio citato, ribadisce cioè a Dante che nel mondo ultraterreno ogni gerarchia è azzerata e non c’ è quindi bisogno di alcun ossequio nei suoi confronti.

Il canto XIX si conclude con una certa malinconia del Pontefice che ricorda l’unica nipote rimastagli, la buona Alagia Fieschi (1265 ca.-1344), che andò sposa a Moroello Malaspina (1268 ca.-1315), signore della Lunigiana e dalla quale, evidentemente, si aspetta preghiere di suffragio.

Ora, le caratteristiche morali del personaggio descritto da Dante, a quanto riferisce Giovanni di Salisbury (vissuto nel secolo XII) nel Policraticus, si riferirebbero invece ad Adriano IV. D’altronde Dante non poteva avere conoscenza diretta di Adriano V, visto che nel 1276 era ancora ragazzo. Se questa notazione è erudita, quel che interessa è il significato morale della scelta di Dante che giustappone, si potrebbe dire, la misera postura del corpo alla somma carica rivestita in vita.

Alcuni poi ritengono il Pontefice descritto da Dante più un ambizioso che un avaro. Occorre però dire che il termine «avaro» equivale anche ad «avido». In questo caso avido di potere in sommo grado. Infine, e ciò non è di poco conto, Dante si inginocchia e si pone quasi al livello dell’anima di Papa Adriano. È tale il rispetto del Poeta per la carica di chi è salito al vertice della Chiesa che non può fare a meno di dire «Per vostra dignitate mia coscienza dritto mi rimorse» (Pg. XIX, vv.131-132).

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