Considerazioni sul tema del duello

di Antonio Antonioni

Si dà qui una versione abbreviata del testo d’una conferenza tenuta in internet per l’associazione Schola latina il 25 giugno 2021. L’originale (audio in www.scholalatina.it) con note bibliografiche qui omesse, è stato pubblicato nella rivista dell’università di Saarbrücken Vox latina, LVII (2021), fasc. 225, pp. 370-379 col titolo De singularibus certaminibus, quae duella vocant.

1. Un ricordo di cinquant’anni fa, ero in servizio militare. Mi avevano dato, come a tutti gli allievi dell’accademia navale, insieme con dei manuali di cose tecniche anche un libretto anonimo intitolato Etica e modi del buon ufficiale. Vi si spiegava, oltre a cose di non enorme interesse come la maniera migliore di consegnare i biglietti da visita, di apparecchiar la tavola e di usare le posate, di andare a teatro e a ballare, anche una faccenda che attirava la curiosità proprio perchè molto più di quelle era lontana dall’esperienza comune: il duello. Senza questa singolarità mi sarei di sicuro dimenticato del libro e del suo contenuto.

Ci tenevano a quanto pare i responsabili dell’accademia a salvare da brutte figure quegli allievi che, magari nati in famiglie modeste, non fossero tanto al corrente degli usi più raffinati della società, con cui avrebbero avuto che fare come futuri ufficiali; col che avrebbero fatto sfigurare anche la marina e le forze armate. Ma il duello?

A questa faccenda era dedicato un capitolo, che cominciava più o meno così: guardati bene, caro allievo, dal batterti in duello, è vietato dalla legge. Ma se mai ti capita di essere sfidato anche ingiustamente, è chiaro che se rifiuti ci fai la figura del vigliacco, disonore massimo per un militare! Allora a ogni buon conto t’insegno io le regole che ha stabilito in materia la consuetudine cavalleresca: modi di sfida, testimoni, assistenza medica, come si deve svolgere il combattimento, eccetera. Ecco dunque che quell’usanza in teoria proscritta come barbara e violenta, diventava non solo lecita ma anche apprezzata come valore, giusta difesa dell’onore d’un gentiluomo. Mentalità che correva ancora all’inizio del secolo passato, ma poi con l’evoluzione della società è andata pian piano scomparendo; restava tuttavia testimoniata in quel singolare libretto, che nessuno a quanto sembra aveva ancora creduto di aggiornare.

2. Era nell’antica Roma duellum nient’altro che la forma arcaica di bellum; non aveva ancora il senso specifico di conflitto di due persone, nato nel medio evo quando nella prima sillaba si vide a torto un prefisso numerico come in duplex, dupondium e simili. Era allora il combattimento singolare ammesso come prova in giudizio, nel caso che al giuramento dell’attore si opponesse dal reo un giuramento contrario. Il concetto era quello dell’ordalia degli antichi Germani: la vittoria era determinata dal giudizio di Dio. Costume passato nel diritto scritto sin dal secolo VI con la legge Gombetta, di Gundebado re dei Burgundi, confermato nell’VIII, in omaggio alla tradizione nazionale, da un capitolare di Liutprando re dei Longobardi, benchè fosse questi ben consapevole che poco rispondesse alle esigenze della giustizia, come dichiara espressamente. Dai teologi la pratica fu condannata come tentazione di Dio. Aveva comunque funzione dichiarativa di un  preesistente diritto.

3. Ma è ben diverso l’uso testimoniato dal sopra ricordato manualetto militare: vi si parla infatti del combattimento privato in difesa dell’onore. Il quale nacque verso la fine del medio evo, a quanto pare dalla pratica cavalleresca del  torneo, sorta d’imitazione ludica della guerra  iniziatasi a sua volta nel secolo XII (un certo spirito cavalleresco è rimasto anche negli sport come la scherma e il rugby e persino il pugilato). Questo duello d’onore si diffuse moltissimo nel rinascimento: si pensi che in soli tredici anni (1594-1607) durante il regno di Enrico IV di Francia morirono così combattendo quattromila uomini, tanto erano gli animi pervasi d’uno spirito combattivo, un agonismo anche sanguinario (in torneo invece rimase ucciso quarant’anni prima lo stesso re Enrico II). Ma ancora nel secolo XIX era il duello ben vivo non solo nell’ambiente militare e nobiliare ma anche nell’università: in Germania la Mensur era quasi un obbligo sancito da statuti di corporazioni studentesche, con relativa cicatrice in faccia esibita quale segno d’iniziazione virile, per cui la difesa dell’onore era solo un pretesto.

4. C’è ancora una terza specie di singolar tenzone, che avviene per un patto tra belligeranti, potenze sovrane dunque, in funzione costitutiva (così dunque che dall’esito del duello nasca il diritto), come sa chiunque abbia letto un poco gli antichi poeti e storici: così combattono Paride e Menelao nel III libro dell’Iliade, su proposta di Ettore accettata da Menelao, il quale anche descrive i riti religiosi che devono sancire il patto tra i due campi avversi. Così anche Ettore e Aiace nel libro VII, e sull’esempio omerico Enea e Turno nell’ultimo dell’Eneide. Del tutto simile è il duello di Davide e Golia nella Bibbia; questi infatti così propone le condizioni: Eligite ex vobis virum, et descendat ad singulare certamen: si quiverit pugnare mecum, et percusserit me, erimus vobis servi, si autem ego praevaluero, et percussero eum, vos servi eritis, et servietis nobis (I reg., 17). Come pure è noto a tutti il triplice combattimento degli Orazi e dei Curiazi nel I libro di Livio: anche qui il patto è sancito solennemente da un rito dei Feziali. Pugnae decretoriae furon dunque chiamate quelle così fatte: decisive, in esecuzione del patto, dell’esito della guerra e delle relative conseguenze di diritto. Ne trattarono i giuristi del medio evo e del rinascimento, profondi conoscitori degli antichi, ma nella realtà della prassi di quei tempi non ve n’è quasi traccia, ed è naturale: troppo era cosa grave e delicata l’esito della guerra per affidarlo al rischio d’un certame, non a caso paragonato alla divinatio sortium  da San Tomaso d’Aquino.

5. Comune alle tre specie di duello esaminate era la nozione di uguaglianza dei combattenti, analoga alla par condicio partium del processo civile (al quale, si ricorderà, una delle tre apparteneva); e corrispondente per un’altra notevolissima analogia col concetto di guerra che si è affermato nel diritto internazionale moderno: appunto la guerra-duello, col suo postulato dell’uguaglianza dei belligeranti (un precursore, in un certo senso, si può considerare Dante, che vedremo tra poco). Vi corrisponde anche la natura decretoria che abbiam visto propria di una di quelle tre specie, onde l’esito della lotta ha forza costitutiva di diritto. Ciò è anche conforme alla pratica bellica dell’antichità romana e del medio evo, e contrario invece alla dottrina della guerra giusta sostenuta da molti giuristi e teologi, per la quale la guerra è esecutiva di diritti preesistenti.

6. Costantemente il duello, sopra tutto nella forma più recente da cui si è iniziato il nostro discorso, fu condannato dalla Chiesa. Il documento che si può dir definitivo, a esso interamente dedicato, è la lettera Pastoralis officii di Leone XIII del 12 settembre 1891. Vi si confuta espressamente l’argomento dell’onore cavalleresco, assimilato alle falsae vulgi opiniones; benchè questo trovasse ancora considerazione presso giuristi come Jhering e anche, almeno come attenuante, nei casus conscientiae ad uso dei confessori; come in vari diritti statali venivano attenuate le pene imposte ai delitti di omicidio e lesioni purchè commessi in vero duello, cioè nell’osservanza delle consuetudini cavalleresche.

7. È interessante come Dante Alighieri colleghi la pratica allora corrente della pugna judicialis (cf. sopra, 2) con le guerre dell’antica Roma, non solo quelle decise da combattimenti singolari (Enea e Turno, Orazi e Curiazi) ma anche in generale cum finitimis, omni jure belli servato, cum Sabinis, cum Samnitibus, licet in multitudine decertantium, sub forma tamen duelli. Su questa estensione del judicium Dei alla guerra fonda la legittimità dell’impero, poichè quod per duellum acquiritur, de jure acquiritur (mon. II, 9). 

Antonio Antonioni

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