Dante, Maria…e la Divina Commedia

La presenza costante di Maria nella Divina Commedia

Sbaglierebbe chi pensasse ad un incontro tra Dante e Maria nella Divina Commedia, come se la nostra Signora fosse uno dei tanti personaggi del poema e si presentasse a lui con i lineamenti e le fattezze che vengono descritte nelle più note immagini dell’iconografia cristiana. Maria non è un normale personaggio, ma, pur non apparente, è una presenza costante che accompagna Dante fino alla méta ed è lei la stella del mattino che già all’inizio del poema lo aiuta ad uscire dalla selva del peccato. Come sappiamo Dante nel primo canto scorge un colle illuminato dal sole e si incammina verso di esso. Il colle è per lo più identificato con la felicità terrena a cui ogni uomo tende per natura, mentre i raggi del sole simboleggiano la Grazia illuminante. Dante incontra però tre fiere, una lonza (lussuria), un leone (superbia) e una lupa (avidità o cupidigia) ed è proprio quest’ultima che risospinge Dante verso la selva oscura del peccato. A un certo punto appare una figura di aspetto umano che, a domanda, risponde di essere il cantore del figlio di Anchise che venne da Troia distrutta dalle fiamme. Riconosciutolo come Virgilio e resogli omaggio, Dante chiede aiuto contro la lupa e il poeta latino gli dice che l’unico modo per raggiungere il ‘dilettoso monte’ è una via lunga e faticosa attraverso l’Inferno e il Purgatorio, e si offre di guidarlo.

   Nel secondo canto Dante manifesta seri dubbi sulla sua possibilità di riuscire nell’impresa ed è angosciato. Allora Virgilio che è pagano e risiede nel Limbo, gli rivela come sono andate le cose. Si è infatti presentata a lui una donna dagli occhi luminosi e belli, dichiarando di essere Beatrice e di essere discesa dal Cielo, dove dimora, su invito di santa Lucia, a sua volta sollecitata da una ‘donna gentile’ che ha avuto compassione della misera condizione di Dante, il quale, udito che in suo soccorso si son levate tre donne benedette, in primis Maria, mette al bando ogni esitazione e si dichiara pronto a compiere il viaggio propostogli da Virgilio. Per tutto l’Inferno Maria non sarà più ricordata, ma, sembra dirci Dante, essa dall’alto stenderà il suo manto protettivo sul suo cammino.

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Nel Purgatorio Dante, che si meraviglia del corpo sottile di Virgilio che non fa ombra, riceve questo ammonimento, peraltro rivolto a tutti gli uomini: ”State contenti, umana genteal quia,/ che se potuto aveste veder tutto,/ mestier non era parturir Maria” (Pg. III, 37-39). Maria è al centro del mistero dell’Incarnazione, ed è essa  l’àncoracui si aggrappa, ad esempio, il ghibellino Bonconte da Montefeltro, che la invoca proprio in punto di morte dopo essere stato ferito gravemente nella battaglia di Campaldino (1289)raggiungendo così la salvezza della propria anima (Pg. V, 100-102). Da Maria vengono anche gli angeli che si pongono a guardia della valletta fiorita dei principi negligenti – questi ultimi recitano il Salve Regina – per impedire l’attacco del serpente che avviene ogni notte (Pg. VIII, 37-39).  Con questi richiami a Maria siamo ancora nell’Antipurgatorio, il luogo dell’attesa per poter cominciare la purificazione vera e propria.

   La montagna del Purgatorio è costituita da sette balze circolari dette cornici, dove vengono purificati, in ordine decrescente, i sette vizi capitali: Superbia, Invidia, Ira, Accidia, Avarizia, Gola, Lussuria. In ogni cornice Dante propone esempi di virtù esaltata contrapposti ad esempi di vizio punito. Ora i primi esempi di virtù sono tutti e sempre riferiti a Maria.

I CORNICE – Maria esempio di umiltà – Pg. X, 41-45.

   Nello zoccolo roccioso della prima cornice sono presenti dei bassorilievi (alcuni dicono altorilievi) e il primo visto da Dante raffigura l’Annunciazione, in cui Maria alle parole dell’Angelo sembra quasi rispondere “Ecce ancilla Dei”, tanto quelle sculture son verosimili. E’ qui proposta la virtù dell’umiltà, contrapposta al vizio della superbia.

II CORNICE – Maria esempio di carità – Pg. XIII, 28-30.

   Nella seconda cornice, quella dell’invidia, Dante sente voci aeree che gridano esempi di carità. Il primo è riferito alle nozze di Cana, dove Maria, come si sa, ebbe una parte notevolissima nello spingere Gesù a compiere il primo miracolo pubblico. Una voce angelica dice semplicemente “Vinum non habent

III CORNICE –  Maria esempio di mansuetudine –  Pg. XV, 85-92.

   Nella terza cornice, quella degli iracondi, Dante è rapito come in estasi e ha delle visioni, la prima delle quali è il ritrovamento di Gesù nel Tempio da parte di Maria e Giuseppe. E Dante ci presenta Maria che esprime grande mansuetudine, rivolgendosi al Figlio con parole affettuose e non di rimprovero.

IV CORNICE – Maria esempio di sollecitudine – Pg.  XVIII, 99-100.

   E’ la cornice degli accidiosi, due dei quali gridano esempi di sollecitudine e il primo è, come al solito, quello di Maria. La frase udita da Dante è questa: “Maria corse con fretta alla montagna”. Il riferimento è alla sollecitudine della Vergine che si recò a Ebron a visitare Elisabetta.

V CORNICE – Maria esempio di povertà – Pg. XX, 9 e 22-24

   La cornice è quella degli avari e dei prodighi. Una delle anime dice: ”Dolce Maria,/ povera fosti tanto,/ quanto veder si può per quello ospizio/ dove sponesti il tuo portato santo”. E’ la nascita di Gesù in una nuda stalla. Povertà contro cupidigia di ricchezze e di potere.

VI CORNICE – Maria esempio di temperanza – Pg. XXII, 141-144

   Siamo nella cornice dei golosi. Dante incontra uno strano albero dai cui rami pendono frutti dal profumo soave, ma ha la forma di un abete rovesciato. Dalla roccia cade una fresca acqua che si sparge sulle fronde dell’albero, ma va all’insù. Insomma, le anime sono attirate da frutti e acqua, ma non possono né cibarsi né bere. E infatti spettrali sono i loro sembianti. Una voce dall’interno dell’albero grida: “Di questo cibo avrete caro”. E ancora: “Più pensava Maria onde/ fosser le nozze orrevoli e intere,/ ch’a la sua bocca, ch’or per voi risponde”.

VII CORNICE – Maria esempio di castità – Pg. XXV, 127-129

   Ecco infine i lussuriosi. Come al solito il primo esempio di virtù è quello di Maria. Le anime peccatrici gridano: “Virum non cognosco”, cioè le parole della Vergine in risposta all’annuncio di maternità da parte dell’Angelo.

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   Nei primi sette cieli del Paradiso (dalla Luna a Saturno), troviamo tre citazioni di Maria. Nel cielo della Luna, tra le anime mancanti ai voti – anche se non per loro colpa – c’è Piccarda Donati che assieme alle altre anime si allontanano da Dante cantando l’Ave Maria (Pd. III, 121-123). Nel cielo del Sole, quello degli spiriti sapienti, è san Tommaso che, parlando di san Francesco, sottolinea un particolare assai doloroso per Maria: ai piedi della Croce essa non può abbracciare il Figlio come invece Madonna Povertà che è rimasta unita a lui fino alla morte (Pd. XI, 71-72). Nel cielo di Marte, infine, tra gli spiriti combattenti per la Fede, il trisavolo Cacciaguida, parlando della propria nascita, cita la Vergine dicendo: “Maria mi diè, chiamata in alte grida” (Pd. XV, 133), evidenziando così il suo ruolo di protettrice delle partorienti e di aiuto alla vita.

   Maria la ritroviamo poi nel Cielo delle stelle fisse, precisamente nel canto XXIII. Dopo che Cristo, come luce luminosissima, si è offerto alla vista di Dante ed è poi salito all’Empireo, il Poeta può osservare attentamente i beati, tra cui, soprattutto, l’anima più luminosa e più alta di ogni altra anima, quella della Madre del Salvatore. La Vergine infatti è la creatura più vicina a Dio, la mediatrice tra Dio e l’uomo, la Madre misericordiosa che accoglie le preghiere dei fedeli e le presenta al Figlio. E’ qui che Dante ci confida qualcosa di sé, usando la prima persona: Maria è “il nome del bel fior ch’io sempre invoco/ e mane e sera” (Pd. XXIII, 88-90). Accompagnata dalla preghiera dei beati, Maria si alza, seguendo Cristo nell’Empireo. Rimasti soli, i beati intonano con dolcezza il Regina Coeli (Pd. XXIII, 127-129). Sempre nel Cielo delle stelle fisse c’è il riferimento all’Assunzione di Maria, quando san Giacomo dice: “Con le due stole nel beato chiostro/ son le due luci sole che saliro” (Pd. XXV,127-128), cioè: gli unici due corpi già risorti son saliti al Cielo, quelli di Gesù e di Maria. Il ‘beato chiostro’ è l’Empireo. Si pensi che il dogma dell’Assunzione fu proclamato da papa Pio XII il 1°  novembre 1950.

   Dopo le interrogazioni fatte a Dante sulla Fede, sulla Speranza e sulla Carità da parte di san Pietro, di san Giacomo e san Giovanni, dopo essere passati per il nono cielo o Primo mobile e dopo una articolata trattazione di angelologia, è nel canto XXX che Beatrice annuncia a Dante che si trovano nell’Empireo: “Noi siamo usciti fore/ del maggior corpo al ciel ch’è pura luce:/ luce intellettual, piena d’amore;/ amor di vero ben, pien di letizia;/ letizia che trascende ogni dolzore” (Pd. XXX, 38-42). Si tratta di un lago di luce attorno al quale si innalza una serie infinita di gradini ove risiedono i beati, così che il tutto appare come una immensa candida rosa. Pochi sono i seggi rimasti liberi, ma uno attira l’attenzione di Dante, la cui potenza visiva è nel frattempo notevolmente accresciuta per grazia divina. Su di esso è posta una corona: dopo la morte vi siederà l’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo che tentò di pacificare l’Italia in preda a sanguinose lotte politiche senza però riuscirvi e non per sua colpa.

   Il compito di guida di Beatrice termina nel XXXI canto: essa scompare alla vista di Dante per riprendere il suo posto nella rosa dei beati e a lei subentra il personaggio che guiderà il poeta per l’ultima parte del viaggio. Dopo Virgilio, simbolo della razionalità, dopo Beatrice simbolo della teologia, ecco san Bernardo che rappresenta il momento mistico, quello che mette l’uomo nella condizione di guardare la divinità e di vivere al di fuori del tempo in contatto con l’infinito.

San Bernardo fu certamente mistico, ma anche impegnato nel mondo. Si può dunque dire che le qualità etico-politiche del Santo si confacevano perfettamente all’animus di DanteNon si deve poi dimenticare che fu proprio lui a scrivere il De laude novae militiae ad milites Templi e che fu un santo mariano quant’altri mai. Anche qui, nel Paradiso, lo proclama chiedendo aiuto a Maria per far giungere Dante alla méta: “E la regina del cielo, ond’io ardo/ tutto d’amor, ne farà ogne grazia,/ però ch’ i’ sono il suo fedel Bernardo” (Pd. XXXI, 100-102). Ancora nel canto successivo (Pd. XXXII, 4-6) è detto che fu Lei a richiudere e medicare la piaga aperta da Eva, è Lei che la madre Anna non si stanca di guardare “tanto contenta di mirar sua figlia” (v. 13), è Lei che ha l’aspetto “che a Cristo più si somiglia” (vv.85-86). E’ a lei che san Bernardo rivolge, nei primi trentanove versi del XXXIII canto, la santa orazione affinchè Dante possa arrivare all’ultima visione, la visio Dei. E allora rileggiamo, per concludere, almeno la prima parte  di questa che è la più bella preghiera mariana di tutti i tempi:

“Vergine Madre, figlia del tuo figlio,/ umile e alta più che creatura,/ termine fisso d’etterno consiglio,/ tu se’ colei che l’umana natura/ nobilitasti sì, che ‘l suo fattore/  non disdegnò di farsi sua fattura./ Nel ventre tuo si raccese l’amore,/ per lo cui caldo ne l’etterna pace/ così è germinato questo fiore./ Qui se’a noi meridiana face/ di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,/ se’ di speranza fontana vivace./ Donna, se’ tanto grande e tanto vali,/ che qual vuol grazia e a te non ricorre,/ sua disianza vuol volar senz’ali./ La tua benignità non pur soccorre/ a chi domanda, ma molte fiate/ liberamente al dimandar precorre./ In te misericordia, in te pietate,/ in te magnificenza, in te s’aduna/ quantunque in creatura è di bontate” (Par. XXXIII, 1-21).

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