Dante, la Commedia e la ruota di Virgilio

Dante e Virgilio: un rapporto ricco e molteplice. A partire dalla dottrina dei “tre stili”

Qual è lo stile della Divina Commedia? Non sarebbe forse meglio parlare di stili? E qual è per Dante il modello di riferimento?

 Nel primo canto dell’Inferno , quello che costituisceil Proemio generale della Divina Commedia, Dante vorrebbe incamminarsi verso un colle illuminato dal sole, ma il suo andare è impedito da tre fiere: una lonza, un leone e una lupa. Il colle può essere inteso come simboleggiante la vita virtuosa in contrapposizione alla vita peccaminosa della selva oscura. La lonza (una specie di lince dal gradevole manto), rappresenterebbe la lussuria, il leone la superbia e la lupa la cupidigia ed è proprio quest’ultima che a poco a poco fa retrocedere  Dante verso la selva.

 A un certo punto appare una figura a cui Dante chiede aiuto. Non è uomo in carne ed ossa, così dice, ma uno spirito che si rivela mantovano di origine, vissuto a Roma sotto Augusto e poeta che cantò la venuta nel Lazio del “figliuol d’Anchise”, cioè di Enea. Dante lo ha immediatamente riconosciuto come Virgilio, quella fonte che “spande di parlar sì largo fiume” e che è “de li altri poeti onore e lume”. Dante dice di averlo lungamente studiato e grandemente amato, così che è divenuto suo “maestro” e suo “autore”, cioè autorevole maestro di poesia e di stile ed anche di umana sapienza (“famoso saggio”). Come rivelerà nel secondo canto, Virgilio dimorante nel Limbo era stato mandato in soccorso di Dante grazie a tre donne del Cielo: Maria, Lucia e Beatrice, simboleggianti rispettivamente la Carità, la Speranza e la Fede. Saputo ciò, Dante si decide ad intraprendere il viaggio oltremondano proposto da Virgilio e a lui si rivolge   come “duca, signore e maestro”, cioè duca (guida) quanto all’andare, signore quanto alla preminenza e al comandare, maestro quanto al dimostrare.

 Detto ciò, ad evidenziare la sconfinata ammirazione e devozione di Dante per Virgilio, possiamo senza esitazione affermare che non esiste uno stile unico nella Divina Commedia. Già nel De vulgari eloquentia  (Libro II, cap. IV) Dante aveva distinto tre stili: “Per tragoediam superiorem stilum inducimus, per comoediam inferiorem, per elegiam stilum intellegimus miserorum”. Vale a dire che lo stile più alto è quello della tragedia, quello medio della commedia, mentre il più basso è quello proprio dell’elegia. Occorre dire che l’uso dei termini “tragedia” e “commedia” è generico e non specificatamente riferito a forme teatrali. Infatti il titolo di “Commedia” attribuito all’intero poema non deve essere inteso da un punto di vista stilistico, ma come tipo di narrazione poetica. Dice infatti Dante nell’Epistola a Cangrande (cap.X, 10): “… è la comedìa un genere di narrazione poetica diversa da tutti gli altri. Si diversifica dalla tragedia per la materia in questo: che la tragedia all’inizio è meravigliosa e placida e alla fine, cioè nella conclusione, fetida e paurosa […]. La comedìa invece inizia dalla narrazione di situazioni difficili, ma la sua materia finisce bene. Che la materia del poema finisca bene, anzi benissimo, chiunque lo può constatare e dunque… Commedia!

 Già nel mondo classico latino, a partire dalla Rhetorica ad Herennium, dall’Orator di Cicerone e dall’Ars poetica di Orazio era stata proposta la classificazione di tre genera dicendi. Fu nel IV secolo d.C.  con Donato e Servio che lo schema dei tre gradi di stile fu applicato alle tre opere di Virgilio: le Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide. Nel Medioevo la confluenza delle dottrine classiche latine applicate anche a Virgilio la si ha negli Scholia Vindoboniensia all’Ars poetica (VIII secolo d.C.) che si possono considerare l’archetipo della dottrina medievale degli stili. Per venire comunque a testi più vicini a Dante e quasi certamente a lui noti (vedi Pier Vincenzo Mengaldo, s.v. stili Dottrina degli, in Enciclopedia dantesca 1970) si possono citare il Documentum de arte versificandi di Goffredo di Vinsauf (XII-XIII secolo) e ancor meglio la Rota Vergilii della Poetria di Giovanni di Garlandia (1180-1258>).

 La Ruota è detta così perché è sostanzialmente un cerchio diviso in tre spicchi che si riferiscono agli stili e alle caratteristiche delle tre opere virgiliane. In cerchi concentrici sono indicate tali caratteristiche. Ribadiamo che lo stile umile è il più basso, il linguaggio è ricco di termini di uso comune e scarsamente ornato dal punto di visto retorico. Lo stile mediano si propone di “delectare”, ha un gradevole ornato retorico, ma senza esagerazioni. Lo stile sublime è il più elevato. Vuole suscitare forti emozioni ed abbonda di figure retoriche. In tutt’e tre gli spicchi, a partire dallo stile sono indicati: tipi di personaggi, nomi propri, animali, strumenti, residenza, piante caratterizzanti. Partiamo dallo stile più basso: 1 il pastore 2 Titiro, Melibeo 3 la pecora 4 il bastone 5 i pascoli 6 il faggio.  Stile mediano: 1 l’agricoltore 2 Trittolemo, Celio 3 il bue 4 l’aratro 5 il campo 6 il melo. Stile elevato: 1 il soldato dominante o comandante 2 Ettore e Aiace 3 il cavallo 4 la spada 5 la città o la fortezza 6 il lauro o il cedro.

E’ impossibile che la Rota Vergilii non fosse conosciuta da Dante. Premesso che la Divina Commedia non è un poema eroico, ma didascalico-allegorico e premesso pure che in ogni cantica può essere che si intreccino o si  affaccino i tre diversi stili (si è anche parlato di pluristilismo e plurilinguismo), Dante per la sua Commedia tenne ben presente la Rota,sicchè l’Inferno si presenta con uno stile umile erealistico, il Purgatorio con uno stile medio gradevole, ma non privo di dottrina e di artifici retorici, il Paradiso con stile assai elevato, ricco di figure retoriche e alta dottrina. Il rapporto Dante-Virgilio tuttavia non si esaurisce certo con la sola teoria dei tre stili espressa dalla Rota. La devozione e l’ammirazione di Dante per il “famoso saggio” comportano infatti la conoscenza di ben altri molteplici motivi.

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