Il canto imperiale del paradiso dantesco

Roma, l’Impero e la Cristianità secondo Dante: il VI canto del Paradiso


Dante, guidato da Beatrice, è arrivato nel cielo di Mercurio, dove si trovano gli spiriti attivi per il bene, sia pure per conseguire onore e fama. Tali spiriti – siamo nel V canto – appaiono a Dante come “splendori” che, come pesci in peschiera all’arrivar del cibo,  si portano verso lui e Beatrice. Uno di questi invita Dante a chiedere notizie di loro e del cielo ove si trovano e Dante si rivolge all’anima che ha parlato chiedendo chi sia. La risposta viene data nel canto seguente, il VI, il canto politico costituito da un unico lungo monologo.

Chi parla è l’imperatore Giustiniano. “Cesare fui e son Iustiniano” (v.10). Passato remoto e presente del verbo essere, a significare il rango che ebbe in vita e la sua condizione di beato in cielo dove i titoli terreni non hanno più alcun senso. Segue poi una “scheda” autobiografica in cui Giustiniano confessa di essere stato monofisita e di avere abbracciato la vera fede grazie a Papa Agapito. Affidato l’esercito a Belisario, si dedicò completamente al riordino e allo sfrondamento delle leggi romane, istituendo il Corpus Iuris Civilis.

 Aggiunge però che per comprendere la situazione politica dei tempi di Dante è necessario fare una “giunta” o appendice con cui tracciare la storia dell’Aquila, simbolo dell’Impero, definita il “sacrosanto segno”. Si tratta sostanzialmente di un lungo discorso che parte da dove Virgilio aveva interrotto la storia di Enea, vittorioso su Turno re dei Rutuli e del provvidenziale insediamento nel Lazio dei progenitori del popolo romano. Dalla storia dei primordi con la supremazia di Roma su Albalonga, dal periodo monarchico chiusosi con Tarquinio il Superbo, si giunge alla storia repubblicana, con la citazione dei suoi maggiori esponenti, storia che è tutta preparazione al momento in cui l’Aquila passa nelle mani di Cesare ed è a quest’ultimo che Giustiniano dedica il maggior numero di versi e non a caso, perché Dante considera Cesare il vero fondatore dell’Impero e Cesari, cioè imperatori, saranno detti tutti i successivi detentori del “sacrosanto segno”.

Ed ecco che si precisa la visione provvidenziale di Dante. Come si sa è sotto Ottaviano che si ebbe un periodo di pace a cui i Romani non erano più abituati. Poteva Nostro Signore nascere in un tempo diverso da quello della “pax augusta”? E poi ci sono la crocifissione e morte di Gesù Cristo sotto Tiberio che ebbe il privilegio di dare giusta soddisfazione all’ira di Dio causata dal peccato originale. E aggiunge Giustiniano – ma il soggetto è sempre l’Aquila – “poscia con Tito a far vendetta corse / de la vendetta del peccato antico” (vv. 92-93), ossia: Tito con la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la conseguente diaspora ebraica punì coloro che in Cristo avevano punito il peccato originale.

  Infine, con un volo di secoli, Giustiniano arriva a Carlo Magno che soccorse la Chiesa vincendo i Longobardi. Si potrebbe dire che in sole due terzine si passa dalle gesta Dei per Romanos alle gesta Dei per Francos. Alla fine poi c’è la condanna dei Guelfi che contrappongono i gigli d’oro di Francia all’emblema dell’Impero, ma anche dei ghibellini che fanno dell’Aquila un segno di parte.     

  Giustiniano infine rivela a Dante che coloro che operarono per il bene,  anche se per conseguire onori e riconoscimenti in terra, risiedono nel cielo di Mercurio che è inferiore rispetto a quello di altri beati, ma in nessuno c’è la minima traccia di invidia.

  Il canto si conclude con la figura di Romeo di Villanova che tanto bene operò presso Raimondo Berengario IV, conte di Provenza, così da suscitare le invidie di corte con accuse che lo costrinsero ad andarsene dalla Provenza: “…indi partissi povero e vetusto;/ e se ‘l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe/ mendicando sua vita a frusto a frusto/ assai lo loda e più lo loderebbe” (vv. 139 -142). Non v’è chi possa esimersi dall’identificare l’esule Romeo con Dante poeta, lontano e nostalgico della sua Firenze.


Quaestiones

1) Perché Dante sceglie proprio Giustiniano come protagonista del VI canto del Paradiso?

Innanzitutto Giustiniano (482-565), anche se nella sede d’Oriente, fu imperatore cristiano e plene romanus. Si prestava quindi benissimo a delineare la storia dell’Aquila fin da quando Enea si mosse via mare dai monti della Troade. Inoltre, così come è presentato da Dante, fu imperatore di giustizia e di pace. Affidato l’esercito a Belisario, si dedicò alla più importante sua opera giuridica, cioè l’istituzione del Corpus Iuris Civilis.

2) Giustiniano fu veramente monofisita?

Dante all’inizio del VI canto fa dire a Giustiniano di essere Stato monofisita (natura umana di Cristo assimilata nell’unica natura divina) e di essere stato convertito alla vera fede da papa Agapito I. In effetti Agapito fu a Costantinopoli nel 535-36, ma non si può dire che sia stato lui – o altri – a convertire Giustiniano, dato che quest’ultimo non ne aveva bisogno, visto che monofisita non era, al contrario di sua moglie Teodora.

3) Perché l’Aquila è definita da Giustiniano “sacrosanto segno”?

Terminata l’esperienza dell’impegno politico cittadino come Guelfo bianco – che lo porterà poi all’esilio – Dante, in contrasto con gli altri fuoriusciti Bianchi, decide di “far parte per se stesso”. E’ nel Monarchia che egli elabora la teoria dei due soli, cioè Papato e Impero, istituzioni entrambe volute da Dio anche se con fini diversi, distinte ma non separate. Al Papato il compito di operare per la salvezza delle anime e l’espansione della Chiesa, all’ Impero il compito di provvedere al benessere materiale dei singoli e delle società. Il fatto di aver messo l’Impero sullo stesso piano del Papato fu cosa mai accettata dalla Chiesa, fin dall’uscita del Monarchia(opera riabilitata solo con Leone XIII), ma ciò dà però conto della sacralità attribuita da Dante al simbolo dell’Aquila.

4) Perché Roma è il fulcro della visione provvidenzialistica di Dante?

Roma, per il fatto di essere divenuta la sede del Vicario di Cristo, fu città predestinata da Dio. E così era stato anche per i pagani. Enea, nonostante le tentazioni e gli scoramenti, è alla fine sempre deciso ad obbedire al volere dei fati: sbarcare nel Lazio e porre le basi per la fondazione di Roma. Insomma, la storia dell’Occidente prima pagano e poi cristiano è la storia di Roma. Il passaggio al Cristianesimo è segnato da tre imperatori. Come si sa il tempio di Giano veniva aperto quando Roma era in guerra, cioè quasi sempre, e grande festa facevano i cittadini romani quando le sue porte venivano chiuse, cosa che avvenne con Ottaviano e la sua “pax augusta”, proprio il periodo in cui nacque Gesù. Ancora: la crocifissione  e morte di Nostro Signore avvengono sotto Tiberio. Se l’Impero non fosse stato legittimato, almeno de facto, da Dio, la morte di Cristo, avvenuta per riscattare il peccato di Adamo, sarebbe stata vana; insomma una pura e semplice esecuzione. Ma così non fu. Se poi andiamo a vedere che cosa successe con l’imperatore Tito e cioè la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la conseguente diaspora ebraica, non possiamo far altro che constatare che il primato religioso passava così dagli Ebrei ai Cristiani e la città sacra da Gerusalemme a Roma che diventerà l’Urbe, il Caput mundi che Dante voleva diventasse sede anche dell’Impero che con Carlo Magno era divenuto Sacro e Romano. I medievali si divertivano a giocare con le lettere delle parole. Se leggiamo all’incontrario la parola Roma, troviamo Amor. E’ forse un caso che così sia per la Città di riferimento di tutto l’orbe cristiano?

5) La vicenda di Romeo di Villanova è storicamente fondata?

Occorre dire che la storia di Romeo è in realtà un racconto leggendario a cui dà credito anche quel grande cronista fiorentino che fu Giovanni Villani. Romeo pare invece che morisse nel 1250 con tutti gli agi che derivavano dai suoi incarichi. E quasi quasi dispiace, perché in Romeo c’è Dante, il quale raramente lascia trasparire i moti del suo cuore, ma ciò avviene sempre quando parla della sua condizione di esiliato – per motivi politici tra l’altro – facendo trasparire la nostalgia per la sua Firenze. Sì, il Romeo di Dante è un personaggio letterario, ma a fine canto, ci sta proprio bene.

Sabato, 8 agosto 2020

Visits: 84