Thomas Stearns Eliot: le riflessioni sul mondo, sugli uomini, sulla società

1.  UN BREVE PROFILO E UNA PREMESSA

     Nel 1922 Thomas Stearns Eliot (1888-1965) fondò il periodico letterario The Criterion e pubblicò il poemetto The Waste Land e poi, nel 1925, The Hollow Men (Gli uomini vuoti). La maggior parte della critica chiude, con grande apprezzamento per queste opere, la prima fase della produzione letteraria di Eliot, cosa che avvenne sempre meno con la “sua poesia ulteriore” a causa della forte “valenza religiosa e cristiana” che la caratterizza. Eliot infatti aveva iniziato un cammino che lo aveva portato alla piena riscoperta della fede cristiana.

    Nato nel 1888 a St. Louis negli Stati Uniti, aveva studiato alla Harvard University, nel 1910 fu alla Sorbona in Parigi e si trasferì infine nel 1914 al Merton College dell’Università di Oxford nel Regno Unito. 

    Fu comunque il 1927 l’anno in cui fu accolto ufficialmente nella Chiesa d’Inghilterra e nel suo ambito aderì alla corrente più conservatrice della cosiddetta “Chiesa alta” anglicana che significativamente si autodefiniva e si autodefinisce “anglocattolica”. Eliot fu profondamente influenzato dalle dottrine del Movimento di Oxford che era sorto per contrastare le dottrine del liberalismo teologico. Uno dei suoi esiti più significativi era stata la conversione al cattolicesimo, nel 1845, della sua guida più importante, il  cardinale John Henry Newman. Eliot ebbe a definirsi “classicista in letteratura, monarchico in politica e anglocattolico in religione”. Per il poeta angloamericano la poesia deve fondarsi su una precisa filosofia e mantenere con la religione quel rapporto organico che ne esalta la funzione sociale, la quale a sua volta culmina nella concezione della politica come questione essenzialmente e principalmente teologica. All’inizio del saggio Religione e Letteratura (1935) ebbe a scrivere: “Ciò che dirò è in gran parte a sostegno di questa asserzione: la critica letteraria dovrebbe essere integrata da una critica che parta da un preciso assunto etico e teologico”.

    L’idea di una società cristiana è il titolo di una raccolta riveduta e annotata di una serie di conferenze tenute dall’autore nel marzo del 1939 e pubblicate con l’appendice di un discorso radiofonico pronunciato nel febbraio di due anni prima. Con tale titolo è stata edita da Gribaudi nel 1998, con traduzione e introduzione di Marco Respinti. Si deve tener presente che nel 1939 cessa la pubblicazione di The Criterion, la rivista letteraria da lui fondata. Nell’ultimo editoriale così si esprimeva: “[…] una filosofia politica corretta è venuta sempre più implicando una corretta teologia e un’economia corretta a dipendere sempre più da una corretta etica: il che ha comportato certe attenzioni specifiche che hanno in qualche modo dilatato il progetto originario di una rivista letteraria”. Eliot era cioè giunto a domandarsi se non fosse stato meglio prestare sin dall’inizio meno attenzione ai parametri letterari, per invece “cercare di ravvivare la coscienza intellettuale che afferma positivamente quei princìpi di vita e di azione pubblica della cui mancanza stiamo soffrendo le disastrose conseguenze”.

2.  LE DOMANDE  DELL’UOMO IN UNA SOCIETÀ SENZ’ANIMA

    La preoccupazione di Eliot non è quella di operare mutamenti immediati a livello sociale, ma di annunciare la “verità delle cose” che sola può portare a veri e significativi cambiamenti. In La letteratura della politica Eliot si preoccupa del fatto che molti scrittori aventi interessi di tipo politico-sociale non vadano al nocciolo della sostanza ed abbiano l’ambizione di modificare il corso immediato degli eventi. Secondo Eliot infatti uno scrittore con tali interessi dovrebbe coltivare l’area prepolitica. Il prepolitico infatti è lo stato nel quale ogni pensiero politico che voglia definirsi sano, deve affondare le proprie radici e dal quale derivare il proprio nutrimento. ”La domanda vera, quella a cui nessun tipo di filosofia politica può sfuggire e quella alla quale deve dare una risposta è semplicemente questa: che cos’è l’uomo? Quali sono i suoi limiti? Qual è la sua miseria e quale la sua grandezza? E quale, infine, il suo destino?”. Nota Marco Respinti, già citato, che con queste parole Eliot ripete un’analoga affermazione del pensatore cattolico spagnolo Juan Donoso Cortés (1804-1853), secondo il quale “ogni grande questione politica dipende da una fondamentale questione teologica”. 

    Si può dunque dire che Eliot, per rispondere alle domande fondamentali che l’uomo si pone (o dovrebbe porsi), si allinea perfettamente a quanto il Magistero della Chiesa cattolica indica essere la radice del senso religioso e l’essenza del “che cosa significa filosofare” (J. Pieper), ovvero che cosa significa amare la sapienza e incarnarla in una cultura e in una politica per l’uomo. Eliot ritiene che al cuore della poesia e della letteratura debba esserci la filosofia e che questa, come protologìa e come metafisica,  debba stare al cuore della politica. 

    Per l’autore angloamericano i totalitarismi del Novecento (nazionalsocialismo e comunismo) rappresentano il tentativo di una costruzione sociale e politica che si pone alla distanza massima dalla verità divina, costruzione che mira a distruggere – anziché proteggere come dovrebbe competere alle istituzioni – l’uomo.

    Dice Eliot nei Cori da “La Rocca” (1934):
La Chiesa ripudiata, la torre abbattuta, le campane
capovolte, cosa possiamo fare
Se non restare con le mani vuote e le palme aperte
rivolte verso l’alto
In un’età che avanza all’indietro, progressivamente.

    Russel Kirk ha affermato che Eliot è uno dei pochi autori ”che hanno cercato di arrivare alla verità politica, ovvero ad una verità più globale di cui l’ordine politico fa parte, e di esplicitarla (The politics of T.S. Eliot). Sia i totalitarismi sopra citati da una parte sia il “democratismo” occidentale dall’altra si oppongono – ci dice Eliot – all’esistenza di una società positivamente ispirata ai princìpi cristiani. Per il nostro autore l’Occidente conserva comunque una certa superiorità rispetto ai totalitarismi nella misura in cui, plasmato dal cristianesimo, ne conserva, ancor oggi, una certa impronta. Così, come chiarisce ancora Russel Kirk, “tutto quanto di positivo vi è nella società moderna è ancora cristiano o deriva dalla fede cristiana”. Marco Respinti riprende opportunamente le riflessioni di Eliot sui pericoli  di una società senz’anima: “[…] il male dell’epoca moderna non sta tanto nell’incapacità di credere ciò che i nostri progenitori credevano riguardo a Dio e agli uomini, quanto nell’incapacità di sentire, relativamente a Dio e agli uomini, come essi sentivano. Una convinzione che non si ha più è, fino a un certo punto, qualche cosa ancora comprensibile, ma quando il sentimento religioso scompare, le parole con cui gli uomini hanno cercato di esprimerlo divengono prive di significato”. 

    Posto tutto ciò e posto che si riesca ad invertire la tendenza descritta, quale tipo di società è vagheggiata da Eliot? Ebbene, la sua società, scrive Marco Respinti, “non è la società perfetta, né la società in cui tutti sono cristiani, né quella in cui la fede viene imposta con la forza. La società cristiana di Eliot è quella in cui “l’integra fede di pochi / la fede parziale di molti” garantisce quel rispetto del diritto e delle verità naturali che permette a tutti gli uomini – credenti e non credenti – di vivere secondo giustizia e di operare per la realizzazione di sé e del bene comune”.

3. LA CRITICA AL LIBERALISMO

    Si è già precedentemente citato il volume dal titolo L’idea di una società cristiana, edito da Gribaudi e curato da Marco Respinti. In esso Eliot fa innanzitutto una premessa relativa alla storia del cristianesimo e afferma che in tale storia è possibile cogliere tre momenti: il primo è quello in cui i cristiani sono una minoranza nuova in una società di tradizione pagana, situazione che non potrà ripresentarsi in alcun  futuro che ci riguardi; il secondo è quello in cui tutta la società può essere definita cristiana, formi essa un solo corpo o si trovi nello stadio delle diverse denominazioni religiose; il terzo momento, infine, è quello in cui i cristiani praticanti sono diventati una minoranza sempre più esigua in una società che ha cessato di essere cristiana.

    Eliot si chiede se si sia forse giunti a quest’ultimo momento, ma essendo la sua domanda retorica, si presenta la necessità di esaminare quali siano gli elementi fondanti di una società sempre meno cristiana. Egli afferma che gli ideali di cui il mondo occidentale si è fatto paladino sono il “liberalismo” e la “democrazia”, termini a cui esso ha attribuito un carattere quasi sacro. Soprattutto riguardo al secondo alcune persone si sono addirittura spinte ad affermare, quasi si trattasse di una constatazione evidente, che la democrazia è l’unico regime compatibile con il cristianesimo e l’uso di tale termine non viene abbandonato neppure dai simpatizzanti del governo nazionalsocialista tedesco. Si tenga presente – lo ricordo – che le conferenza riprodotte nel citato volume sono del 1939.

    Una cosa è certa per Eliot: il liberalismo è un movimento – o scuola di pensiero – definito non tanto dallo scopo, quanto dal punto di partenza che è più concreto di quello a cui si potrà arrivare che invece è molto vago e quindi non definibile in modo preciso. “Distruggendo le tradizionali usanze sociali di un popolo, dissolvendone la naturale coscienza comunitaria in spezzoni soggettivi, permettendo la libertà di opinione dei più stolti, sostituendo l’educazione con l’istruzione, incoraggiando la destrezza piuttosto che la sapienza e gli ultimi arrivati invece delle persone competenti, incoraggiando il concetto del ‘farsi avanti’, la cui unica alternativa è un’apatìa senza speranza, il liberalismo può preparare la strada alla propria stessa negazione: ovvero a quel modo innaturale, meccanicizzato e feroce di esercitare il controllo che si configura come disperato rimedio al caos da esso generato”.

    E ancora: “Nella sfera religiosa il liberalismo può essere definito come un abbandono progressivo di quegli elementi storici del cristianesimo che appaiono superflui o sorpassati. Ma, essendo la sua dinamica determinata più dall’impulso che l’origina e meno dall’obiettivo a cui tende, dopo un certo numero di azioni demolitrici esso perde vigore e, senza più nulla da distruggere, rimane senza più nulla da proporre e senza più una méta”.

    Nei paesi industrializzati, poi, prospera facilmente una filosofia materialistica e tanto più letali, quindi, sono le conseguenze di quest’ultima. Dice Eliot: “La Gran Bretagna è altamente industrializzata da più tempo di qualsiasi altro paese e l’industrialismo senza limiti tende a creare  gruppi di uomini e donne – appartenenti ad ogni ceto sociale – isolati dalla tradizione, straniati dalla religione e in balìa delle suggestioni di massa. In altre parole: a creare della plebaglia”. 

    Per il liberalismo la religione è una questione di fede e di comportamenti privati e però l’espansione attorno a noi di una società non cristiana e la sua più che evidente intronizzazione nelle nostre vite sono venute abbattendo la distinzione tra la moralità pubblica e quella privata. “Non si tratta semplicemente del problema di una minoranza in una società di individui che professano una fede diversa, ma di quello generato dall’essere parte di una rete di istituzioni da cui non è possibile dissociarsi; istituzioni il cui agire non si mostra più neutro, ma del tutto privo di riferimenti al cristianesimo. E i cristiani che non si rendono conto del dilemma – la maggioranza – perdono sempre più la propria identità religiosa per effetto di un’infinità di subdole pressioni: il paganesimo controlla tutti i migliori spazi pubblicitari. Realtà come le tradizioni cristiane che si trasmettono di generazione in generazione nell’ambito della famiglia sono destinate a scomparire e così la piccola comunità cristiana finirà per essere composta interamente da adulti”.

4.  PROSPETTIVE PER UNA SOCIETÀ CRISTIANA

    Certamente, se la comunità cristiana risultasse composta prevalentemente da adulti, la prospettiva sarebbe quella della scomparsa di ogni tradizione, proprio nel senso etimologico del termine, ossia quello di ‘trasmissione’, in primis, della fede. Le parole di Eliot potrebbero farci volgere al più cupo pessimismo pensando che esse, pronunziate alla fine degli anni Trenta del XX secolo, appaiono oggi veramente profetiche. Eliot tuttavia non si esime dal prospettare,  se è vero che persistono – e non solo in Gran Bretagna – dei princìpi e dei modi di essere cristiani o derivati dal cristianesimo, la méta di una possibile, futura, società cristiana. 

    Eliot allora propone innanzitutto una distinzione pratica fra Stato cristiano, comunità cristiana e comunità dei cristiani.  Così afferma: “Per Stato cristiano intendo la società cristiana considerata sotto l’aspetto della legislazione, dell’amministrazione pubblica, della tradizione giuridica e dell’aspetto morfologico”. Chiarisce poi che dicendo Stato cristiano non intende “uno Stato in cui i governanti vengano scelti in ragione della loro qualifica – e ancor meno della loro perfezione – cristiana. Infatti negli uomini di Stato non conta anzitutto la coscienza cristiana ma, grazie al carattere e alle tradizioni del popolo che essi governano, il mantenersi entro il quadro di riferimento cristiano in cui realizzare le proprie ambizioni e in cui promuovere il benessere e il prestigio del proprio paese”. 

    Il secondo elemento preso in considerazione è la comunità cristiana. Per Eliot si tratta dell’insieme dei cristiani che praticano la fede in modo fermo e consapevole e interessati alle cose di Dio e al bene della Chiesa. Eliot fa poi notare come la sua “comunità cristiana” richiami un termine usato da Coleridge, cioè clerisy. Molto opportunamente Marco Respinti nel volume da lui curato e già citato definisce la clerisy l’insieme di coloro che erano (e sono) chiamati per vocazione a esprimere in forme culturali il frutto delle proprie speculazioni e pure aggiunge l’osservazione del filosofo britannico Roger Scruton secondo cui “la formulazione più prossima al concetto di intellettuale a cui è giunta la nostra cultura nazionale passa attraverso la teoria coleridgeana della clerisy: la categoria dei pensatori che perpetuano l’eredità spirituale e letteraria della nazione e che esercitano un’influenza permanente sul governo”. 

    Eliot ricorda che Coleridge estendeva il senso del termine fino d includervi tre ambiti umani: le università, le grandi scuole di cultura, il clero delle parrocchie e i maestri locali, tralasciando però l’immenso valore degli ordini monastici. La comunità cristiana per Eliot “comprenderebbe sia gli ecclesiastici sia i laici dotati di valori intellettuali e/o spirituali”. Si deduce dunque che la “comunità cristiana” è quella di coloro che praticano la fede con continuità, con consapevolezza e con zelo. Tuttavia all’interno di questa comunità emergono inevitabilmente coloro che – ecclesiastici o laici che siano – dotati di capacità intellettuali, forniscono gli elementi di cultura cristiana da trasmettere poi a tutto il corpo della comunità. C’è infine la Chiesa istituzionale che costituisce l’asse portante, in tutte le sue articolazioni, della “comunità cristiana” e, ai livelli più alti, ha il l’importante e delicato compito di rapportarsi con lo Stato.

    Passiamo ora al terzo elemento, la “comunità dei cristiani”. Questa non tanto sarebbe  costituita in struttura organizzata, ma costituirebbe invece un insieme indefinito di uomini e donne aventi un’educazione e una cultura comuni. Insomma potremmo dire che un gran numero di persone, oltre al fatto di essere tutte battezzate, ha costumi e modi di sentire che sono cristiani, anche se la loro fede non è piena e consapevole. Si tratta di quelli che potremmo definire “cristiani di civiltà” i quali praticano la religione saltuariamente, spesso solo in occasione delle grandi feste cristiane. Importantissimi pure loro, se non altro perché testimoniano di essere in gran numero immersi in un’atmosfera cristiana condivisa.

5. TRA PESSIMISMO E SPERANZA

    Se da un lato Eliot delinea i tratti della società moderna in modo molto pessimistico, dall’altro, consapevole che il mondo occidentale conserva ancora una qualche radice tradizionale, non abbandona la speranza che si possa, nel tempo, intravvedere la rinascita di una società cristiana. È  comunque certo che nell’analisi della società moderna Eliot utilizza parole che paiono oggi profetiche. La presenza del liberalismo nella sfera religiosa, a cui si è fatto in precedenza riferimento, la si può constatare anche oggi e con danni ancor più consistenti nel corpo ecclesiale. Attualmente il cristianesimo in gran parte dei paesi europei e comunque occidentali è in grave crisi, dovuta al laicismo sfrenato e ad un relativismo – promosso dalla maggior parte dei media – diffuso in ogni ceto sociale. Quando Eliot parla di “comunità cristiana” pare voler prospettare un’élite cristiana che possa dare vigore a tutto il corpo ecclesiale e a tutta la società.

    A tal proposito non riesco a non pensare alla necessità della “nuova evangelizzazione” così cara a san Giovanni Paolo II e alla lettera di Papa Benedetto XVI al Cardinale Dionigi Tettamanzi in occasione della 86a Giornata nazionale per l’Università Cattolica del Sacro Cuore. In essa si trova scritto: “Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere presente soprattutto nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace”. Ancora e qui chiudo: “Minoranze creative, cioè uomini che nell’incontro con Cristo hanno trovato la perla preziosa, quella che dà valore a tutta la vita (Mt 13,45-46) e, proprio per questo, riescono a dare contributi decisivi ad una elaborazione culturale capace di delineare nuovi modelli di sviluppo”.

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