JORIS – KARL HUYSMANS, L’OBLATO, D’ETTORIS EDITORI, CROTONE 2016

di Leonardo Gallotta

       L’Oblato è il terzo dei romanzi “cattolici” di Huysmans. Come ben sanno gli studiosi e i cultori di letteratura, questo autore è soprattutto noto per il romanzo Á rebours (1884), considerato il capolavoro in prosa del Decadentismo europeo. Si tenga presente che il protagonista Des Esseintes, nel quale con ogni evidenza si identifica l’autore del romanzo, fu assunto a modello da Oscar Wilde con il suo The picture of Dorian Gray e da Gabriele D’Annunzio con la figura di Andrea Sperelli, protagonista del romanzo  Il piacere. A causa del consenso ricevuto, il resto della sua produzione narrativa è passato in secondo piano. Jean Floressas Des Esseintes, dopo una vita  di eccessi e di vizi, si rinchiude in una dimora lontana dalla capitale francese con l’intenzione di isolarsi del tutto dal mondo e lì vive una vita quasi da recluso, ricercando ogni perfezione estetica a livello di letteratura, di musica , di profumi, di arredamento, di accostamenti cromatici e così via. L’esperimento di Des Esseintes, volto a sfuggire la banalità del mondo, credendo di non aver bisogno di esso, tramite l’appagamento, a tutti i livelli, del proprio senso estetico, tuttavia non riesce e alla fine l’isolamento  porterà il protagonista alla depressione, così che sarà costretto dai medici a tornare a Parigi, cioè nel mondo. Quasi profetiche furono le parole con le quali Barbey d’Aurévilly in una recensione ad Á rebours concluse la lettura del romanzo: “Dopo un libro tale non resta altro all’autore che scegliere tra la canna di una pistola e i piedi della croce”.

       Chi avrà interesse a leggere L’Oblato, proprio all’inizio del primo capitolo troverà un nome proprio: Durtal, il personaggio in cui si identifica l’autore e che nasce con un romanzo successivo ad Á rebours, cioè Là-bas. Durtal è un giornalista e scrittore impegnato a ricostruire le vicende storiche del sanguinario Gilles de Rais (1404 – 1440), meglio noto come Barbablù. Huysmans, come riferisce nella bella presentazione de L’Oblato, Ferdinando Raffaele,trae la materia del racconto dalla frequentazione di satanisti e spiritisti e, dopo avere assistito ad una messa nera, “subisce uno choc che molto probabilmente si rivelerà decisivo per la sua conversione al cattolicesimo”. Quest’ultima richiederà del tempo per consolidarsi, ma fu soprattutto la sua permanenza, nel 1892, presso l’Abbazia trappista di Igny a determinarla. Tale soggiorno ispirò il romanzo En route (1895) , in cui il protagonista, sempre Durtal, si converte alla fede cattolica proprio dopo tale esperienza. Sempre col medesimo protagonista seguirono La Cathédrale (1897), un’immaginifica descrizione della Cattedrale di Chartres e infine L’Oblat (1903). A parte Là-bas, si può dunque parlare di un trittico “cattolico”, in cui si delinea, complessivamente, un romanzo di formazione, il “romanzo di Durtal” che vede il personaggio giungere, dopo un lento processo di maturazione, , ad una fede in Dio piena e consapevole.

      È ora dunque di parlare de L’Oblato.  Durtal, dice Huysmans all’inizio del romanzo, risiedeva già da più di diciotto mesi nella Val des Saints. Precedentemente aveva fissato la sua dimora a Chartres, ma era “tormentato da una segreta bramosia di chiostro”. Fu il curato Plomb, vicario della cattedrale di Chartres, che lo indirizzò a Solesmes, cenobio di cui ben conosceva il reverendissimo Abate, dom Delatte. Era lì rimasto diverse volte per periodi di quindici giorni, poi ritrovava con gioia i suoi vecchi amici a Chartres, soprattutto don Gévresin, confessore di Durtal e la sua governante, signora Bavoil. Di quando in quando rifletteva sulla vita dei monaci bianchi, i Cistercensi – di cui aveva già fatto esperienza – con il perpetuo silenzio, i digiuni rigorosi, il magro senza interruzione, il dormire completamente vestiti in dormitorio, l’alzarsi in piena notte alle due, il lavoro operoso o quello della terra. I Benedettini (o monaci neri) potevano parlare in certi giorni, consumare alimenti di grasso e dormire nella propria cella svestiti dell’abito. Si alzavano alle quattro, si dedicavano a lavori intellettuali, lavoravano molto di più nelle biblioteche che sui banchi di mercanzie o nei campi. Insomma i Trappisti erano specialmente dediti alle opere di mortificazione e di penitenza, i Benedettini invece all’Ufficio divino della lode.

       Dei Benedettini Durtal aveva apprezzato il lato garbato delle osservanze: gli era stata lasciata una certa libertà per la levata, per le uscite e per seguire l’Ufficio; Inoltre viveva coi padri, parlava e lavorava con loro. Insomma Durtal si convinceva che la sua possibile vita monacale sarebbe stata proprio con i monaci bianchi. E tuttavia, riflettendo ancora, pensava che Solesmes era troppo grande e aveva un andazzo da caserma, con la presenza di circa cento monaci, guidati da un generale, l’Abate.  Pensava anche a se stesso, alla possibilità di scrivere un libro in questa abbazia. E ancora rifletteva su che cosa si dovesse intendere per oblazione,  le cui precise normative parevano del tutto sconosciute. Ed ecco la prima indicazione di don Gévresin: “Niente la obbliga ad indossare l’abito dell’oblazione e a rinchiudersi in un chiostro; può alloggiare fuori e seguire l’Ufficio”. Esclusa da Durtal  Solesmes per la sua grandezza, il curato di Chartres lo invita a fissare la sua residenza in un altro monastero, ad esempio quello di Val des Saints  ben conosciuto da don Plomb. Andò proprio così, grazie anche ad un monaco di quella abbazia che era passato per Chartres, dom Felletin, che conquistò l’animo di Durtal. Questi, dopo un ritiro di quindici giorni, affittò una casa con giardino vicino al chiostro e la vita subito gli risultò gradevole. La questione così oscura dell’oblazione, fu risolta dall’Abate, dom Anthime Bernard: “Cominci il suo noviziato. Delibereremo più avanti. Durerà un anno e un giorno, come quello dei monaci. Seguirà i corsi di liturgia di dom Felletin e sarà assiduo all’Ufficio”. 

      Una sola cosa non andava bene a Durtal, il servizio della signora Vergognat, la sua perpetua, indolente, ubriacona e pessima cuoca. Nel frattempo, tuttavia,  era morto all’improvviso don Gévresin e la sua domestica, la signora Bavoil, su consiglio di don Plomb e dopo qualche tentennamento, arrivò finalmente alla Val des Saints. Sia detto per inciso che Val des Saints è un nome di fantasia per descrivere l’abbazia di Ligugé dove effettivamente Huysmans visse come oblato. Accolta da Durtal alla stazione, la signora Bavoil  lo lasciò perplesso per la stranezza del suo bagaglio e perché “sprovvista di ogni cognizione in materia di abbigliamento”. Installatasi nella casa di Durtal, quest’ultimo le dà ragguagli sulla vita del borgo composto da duecento famiglie. Tra gli amici del monastero c’è uno scapolo strano e un po’ burbero, il signor Lampre, che vive in una casa molto spaziosa, attigua al monastero. È molto devoto e nonostante alcuni difetti, è un buon cristiano, servizievole e pio, molto colto sugli usi e costumi monastici, benefattore dell’abbazia. Oltre a lui c’è anche un’oblata, proveniente da Solesmes, la signorina de Garambois, un po’ strana anche lei, ma assai caritatevole ed indulgente. Sue ardenti passioni: l’alta cucina e i fasti liturgici. È, tra l’altro, la nipote del signor Lampre. La parrocchia di Val des Saints è retta dagli stessi Benedettini. Tra i fedeli c’è un tale barone des Atours che vorrebbe gorgheggiare le sue arie d’opera “aggiustate da bigotti scellerati”, ma impedito a ciò dall’Abbazia.

      In quest’ultima Durtal è, diciamo così, di casa e partecipa assieme ad altri ospiti  al pranzo comune, terminato il quale l’Abate invita i suoi ospiti a prendere il caffè. Dom Anthime Bernard aveva quasi ottant’anni, era di provata santità, di equilibrata benevolenza e di aspetto gioioso. La sala a ciò destinata era situata vicino alla scala che portava ai due piani delle celle. Seduti al tavolo attorno al Padre Abate veniamo a conoscenza di altri padri: il Priore dom De Fonneuve, il maestro dei novizi dom Felletin, già precedentemente citato e  il foresterario dom Badole. C’era inoltre un ecclesiatico ospite oltre a Durtal e al signor Lampre. Delle caratteristiche dei padri citati l’autore fornisce descrizioni precise, così come alcune riferite ai novizi. Dopo il caffè, iniziata una passeggiata col signor Lampre, Durtal si ricorda di una commissione affidatagli dalla signora Bavoil: l’acquisto nella farmacia abbaziale di taffetas d’Inghilterra, per curare un dito scorticato. La cella del padre farmacista, Philogone Miné, era situata vicino alla portineria, per permettere agli abitanti del paese di accedere alla farmacia. Quest’ultima era un locale dal caos più bizzarro che Durtal avrebbe mai potuto immaginare. C’era di tutto: casseruole di rame, alambicchi, pacchetti diversamente etichettati e fiale, boccali e scomparti senza alcuna somiglianza fra loro. Prima di farsi benedettino , padre Miné gestiva una farmacia a Parigi e Durtal si chiedeva quale tipo di clientela avesse mai avuto se teneva la sua bottega in uno stato simile di sporcizia e disordine. 

      Una volta compiuta la commissione della signora Bavoil, Durtal tornò a casa dove si era installato al primo piano, ormai ricchissimo di libri, dato che don Gèvresin gli aveva lasciato in eredità la sua biblioteca. La casa aveva un giardino spazioso, nel descrivere il quale dà prova di precise e minute conoscenze botaniche. Il tutto è condito da divertenti dialoghetti con la signora Bavoil che, al di là delle piante ornamentali care a Durtal, vorrebbe avere tutto per sé uno spazio per coltivare verdure ed erbe aromatiche. Terminate le discussioni botaniche, ecco l’arrivo della signorina de Garambois, l’oblata della compagnia, che reca in dono dei vasi di graisserons, ricevuti da una sua amica del Midi. L’oblata ha la passione dell’alta cucina e fornisce alla signora Bavoil una ricetta piuttosto elaborata per preparare questi graisserons, che sono una specie di paté di carne d’oca, cotta nello strutto. Tale elaborata ricetta dovrebbe essere, se ben realizzata, una squisitezza, ma la signora Bavoil che non apprezza le raffinate conoscenze culinarie e la golosità dell’oblata afferma che Durtal mangerà le tartine semplicemente arrostite al burro.      Terminata la discussione, la de Garambois, passando ad altro, descrive, dopo aver fatto le lodi del cerimoniere padre d’Auberoche, il rito della sua presa d’abito come novizia, assecondata in ciò da Durtal che, anch’egli, ha seguito gli stessi passaggii cerimoniali. 

       Stabilito il giorno di un convivio da tenersi a casa di Durtal con la de Garambois, il signor Lampre e padre Felletin, la signora Bavoil invita Durtal ad andare a Digione per approvvigionarsi di alcune vivande. Arrivato a Digione, Durtal approfitta per passeggiare in questa città e visitare la chiesa di Notre-Dame, di cui fa una descrizione molto precisa che occupa circa sette pagine del testo. Terminata la visita, Durtal riflette su se stesso e in altre sei pagine si arrovella sul problema della routine della vita liturgica, sulle distrazioni che lo portano lontano da Dio, ma poi pensa anche a quel  tocco dell’anima che lo fa ritornare a Lui. Riflette su come sia difficile la santità, sul fatto che nelle frequenti confessioni  si ricade costantemente nelle stesse mancanze e poi, di nuovo, ecco le tentazioni, l’assalto delle immagini spesso non respinte abbastanza presto. Dopo una breve visita al Carmelo di Digione, si ha poi una lunga e dotta digressionesui primi reclusi in Francia, a partire da san Léonien del V secolo. Tale digressione si sviluppa per ben otto pagine del testo. Le recluserie scomparvero nel 1600. Le ultime donne recluse furono Giovanna di Cambrì, morta nel 1639 e Margherita La Barge, morta a Lione nel 1692, l’ultima reclusa che conosciamo. Terminata la digressione, Durtal fa i suoi acquisti e riprende il treno per la Val Des Saints.

       Capitolo VI. Si è finalmente giunti al convivio previsto e apprendiamo che vi è stata la brutta fine dei graisserons divenuti una specie di spugna sbriciolata a pezzi, con il contorno abbrustolito e decisamente respinti da Durtal. La signorina de Garambois, dopo aver accusato il tipo di pane paesano utilizzato per i graisserons chiede a Durtal di fare un po’ di storia sull’oblazione. E Durtal, partendo dal Medioevo la fa soprattutto in riferimento ai benedettini. Assistiamo qui ad una esposizione che assume la forma di un vero e proprio saggio, assai erudito e documentato. E pure corposo, visto che occupa ben dieci pagine del capitolo VI. La principale distinzione che si può fare, secondo Durtal, è tra gli oblati che vivevano all’interno del chiostro e quelli che abitavano nei dintorni. Usi e costumi degli oblati e regole di vita interna o esterna al chiostro sono stati diversi a seconda delle abbazie e dei tempi. E così è anche ai tempi di Durtal. A un certo punto entra dom Felletin a cui viene servito il caffè e comincia una discussione sui regimi di vita monacale via via ammorbiditi dalla Chiesa. Dom Felletin dà poi due notizie: la prima è che padre Philogone  Miné ha avuto un ictus e la seconda che la chiesa di Val des Saints non sarà più curata dai frati, ma,  per volere del Governo, avrà un curato, cosa che turba tutti i presenti e che appare come il prodromo di future disgrazie, a livello di leggi, per l’Abbazia.

       Intanto sopraggiunge l’inverno e, passato il periodo di Avvento, si giunge al Natale. Durtal si confessa da dom Felletin e si prepara alla grande liturgia della notte di Natale tenutasi nella chiesa del borgo e aperta a tutti i fedeli che viene poi descritta per diverse pagine in modo minuzioso dallo stesso Durtal.  Si riporta qui un brano per comprendere le sensazioni provate dal protagonista. “Quando si arrivò al Kyrie Eleison i fedeli si unirono e le ragazze e i ragazzi del paese, guidati dal Padre curato, sostennero i monaci. Fu lo stesso per il Credo. Durtal ebbe in questo momento l’esatta impressione di un ritorno indietro nel tempo, di un villaggio che cantava le melodie gregoriane nel Medioevo. Evidentemente, non c’era la perfezione del canto di Solesmes, ma era tutta un’altra cosa. A parte l’arte, era il protendersi dell’anima un po’ bruta, di un’anima folle, commossa da un istante; era il rianimarsi, per qualche minuto, di una Chiesa primitiva nella quale il popolo, vibrante all’unisono con i suoi sacerdoti, aveva una parte effettiva nelle cerimonie e pregava con loro, nello stesso dialetto musicale, nello stesso idioma; ed era, nella nostra epoca, così tanto sorprendente che ascoltandolo Durtal credeva di vagare ancora una volta in un sogno”. 

     Agli inizi di gennaio, approfittando di una giornata meno rigida rispetto al solito, Durtal si reca a Digione per alcuni acquisti e prende il treno assieme a padre De Fonneuve che doveva recarsi al convento delle suore carmelitane e approfitta per fare una visita alla cattedrale di Saint Benigne – di cui fa precisa descrizione – e prender Messa. Si sono intanto presentati molti problemi dovuti alla nomina del parroco nella Val des Saints. Cominciava così la lotta tra don Barbenton, il nuovo parroco, e l’Abbazia. Nella parrocchia fu subito eliminato il canto piano nelle celebrazioni domenicali e al suo posto subentrarono canzoni e arie da balera. I paesani, dapprima favorevoli al curato, cominciarono a storcere la bocca quando costui reclamò il pagamento per matrimoni e funerali, cosa che non avveniva con i frati. Alla fine, per aumentare il proprio prestigio in paese, chiese al Vescovo, monsignor Triaurault di venire in Val des Saints il giorno del suo onomastico, festa di Saint Cyrille, che cadeva di domenica. Il Vescovo, un po’ titubante, accettò, ma si accorse ben presto di essere caduto in un tranello e alla fine rimproverò vigorosamente il curato per averlo messo in mezzo alle contese tra lui e l’Abbazia.

     Intanto Durtal si stava preparando alla sua oblazione, passando tra le mani di padre Felletin, maestro dei novizi e dom d’Auberoche, il cerimoniere. Giunge finalmente il giorno in cui Durtal diventerà ufficialmente oblato. La cerimonia dell’oblazione risultò abbastanza semplice. Dopo aver risposto alle domande del Priore, Durtal lesse a voce alta la carta di professione, scritta su pergamena. Il maestro delle cerimonie appoggiò sull’altare la carta che fu firmata da Durtal con il suo nome e cognome da laico e poi con il nome monastico di fratel Giovanni che avrebbe dovuto portare. Fu il Priore, infine, che pronunciò il breve discorso di accettazione di Durtal nella comunità e fraternità dell’Ordine di San Benedetto. 

      Una volta rientrato e raccontata alla signora Bavoil la scena della sua oblazione, Durtal si prepara  all’arrivo della Settimana Santa che si presenta però assai triste. La legge sulle congregazioni religiose era stata appena votata dai deputati e al più convinto ottimismo era seguito il più nero pessimismo. Dopo la Messa pasquale Durtal si unì, nella sala degli ospiti per bere il caffè con il Padre Abate, dom de Fonneuve, dom Felletin, dom Badole, il curato e il signor Lampre. Fu il padre Abate che dopo i commenti sulla cerimonie della Messa pasquale, introdusse il discorso sulla famigerata legge. Ci si domanda come finirà e dove si andrà. C’è chi prospetta una reazione, ma infine il più pessimista risulta Durtal che non la vede possibile né da parte del clero nè dai borghesi e aggiunge: “Quanto ai cattolici, sa anche lei quanto me, l’ammasso di stupidaggini e di viltà che racchiudono; se per caso si trovassero tra loro delle persone intrepide e risolute a resistere, i deputati e i senatori del partito si opporrebbero immediatamente e farebbero il gioco del nemico, disarmandoli”. “Ma allora, non si può tentare nulla!”, gridò dom De Fonneuve. “No, padre mio, niente. Non sono profeta, ma ricordi che durante gli avvenimenti più o meno pericolosi che si profilano, gli oratori cattolici si aggireranno nel vuoto: faranno firmare delle petizioni che l’intero Governo, quando le riceverà, getterà nel cestino e pronunceranno con cura patetici discorsi in scelte riunioni, perché non si danneggino le loro preziose persone; poi, quando sarà arrivato il momento di scendere in strada e di farsi vedere, questi pii spaventapasseri redigeranno ancora delle bellicose proteste, e i nostri signori vescovi gemeranno rispettosamente con frasi ricercate, e, dopo, tutti si sottometteranno, pancia a terra,tranquilli, convinti comunque di aver fatto il loro dovere e di essersi comportati bene”. Dopo qualche mese anche il Senato approvò la legge. Le congregazioni erano così del tutto strangolate. “Tutto il piccolo mondo dell’Abbazia che fino ad allora non era al corrente di niente e che aveva deriso, Dio sa quanto, la politica, si domandava che male avesse mai potuto aver fatto perché li si scacciasse a quel modo”. Il signor Lampre confida a Durtal:  “La risoluzione del Capitolo degli Abati si conosce fin d’ora in anticipo, la lettera di dom Bernard non ci dirà nulla che non sappiamo; l’esilio sarà a breve; si ignora solo il luogo scelto per essere messi al bando e, credo, per quanto tempo”. 

      Durtal viene invitato dal signor Lampre a casa sua, una casa grande anche se non bella dal punto di vista archtettonico. Huysmans –Durtal descrive soprattutto gli interni e ciò che contenevano: pregevoli e rari libri, miniature e cartolarii. Una passione del signor Lampre era la buona cantina opposta in questo alla passione per i dolci della nipote de Garambois, arrivata la quale la conversazione si sposta sulle malefatte del curato e dell’importanza da lui accordata al barone des Atours, ma anche ai problemi che deriveranno dalla famigerata legge sull’abolizione delle congregazioni. 

       Durtal  si reca di nuovo a Digione in visita al manicomio che era stato costruito sul sito dell’antica Certosa di Champmol e attorno al pozzo di Mosè si riempì gli occhi dei lavori dell’artista Claus Sluter, soprattutto le effigi dei Profeti scolpite a grandezza d’uomo, sulle quali tuttavia, a parte Mosè, si erge il giudizio negativo di Durtal: “Se Sluter non avesse presentato i suoi personaggi come personaggi della Bibbia, se li avesse semplicemente messi su un monumento civico, come negozianti, sacerdoti e magistrati, non ci sarebbe che da ammirare senza nessuna prevenzione l’immenso talento di quell’uomo”. Sluter fu uno scultore piuttosto stravagante, ma, come Durtal, alla fine si fece oblato di un’abbazia agostiniana. Partendo da ciò Durtal riprende un suo lungo soliloquio sul destino degli oblati una volta chiuse le Abbazie di Francia, fantasticando su diverse, possibili soluzioni.

       Siamo ora, così si apre il capitolo XIII, alla fine delle celebrazioni per la festa dell’Assunta e Durtal, seduto in giardino all’ombra di un alto cedro, si produce in bellissime riflessioni sulla Sofferenza (personificata) e Maria, sofferenza a volte mista a gioia, ma bruciante e acuta in occasione della Crocifissione.”E alla fine aveva accettato l’oneroso compito ereditato da Gesù; formò la piccola Chiesa, le insegnò il mestiere di pescatrice d’anime; fu lei il primo nocchiero di quella barca che cominciava ad andare al largo sul mare del mondo”. Durtal era intanto venuto a sapere che l’Abate aveva affittato in Belgio un castello per alloggiarvi i suoi monaci. E mentre guardava le bellissime piante del suo giardino, ecco arrivare dom Felletin, con il quale si instaura un dotto e lungo dialogo sulle differenze tra Breviario Romano e Breviario Monastico.

       Rientrato in casa, Durtal trova la signora Bavoil estremamente preoccupata per la situazione dei religiosi in Francia, intavola una discussione con Durtal che usa parole molto forti nei confronti dei Vescovi “resi dei capponi in gabbia per il culto”, del clero e del laicato cattolico. Durtal si reca poi in Abbazia per salutare padre De Fonneuve che sarebbe partito la sera stessa per il Belgio e per assistere alla vestizione di un giovane seminarista. L’Abbazia è in subbuglio per tutta la roba accatastata da spedire in Belgio. Padre de Fonneuve è impegnato nell’imballaggio dei libri della biblioteca., triste e malinconico. La cerimonia del giovane novizio è particolarmente commovente, date le circostanze, dato che avviene alla vigilia della partenza per l’esilio. C’è poi il colloquio di Durtal con l’Abate. Questi gli riferisce che lì, alla Val des Saints, lascerà solo padre Paton, curatore del vigneto, il padre sacrestano e un novizio, fratel Blanche. Chiede a Durtal, per la recita dell’Ufficio, di fare il quarto, anche senza canto. E poi ultima messa per la partenza dei novizi e ultima confessione di Durtal con padre Felletin.

      Quando quest’ultimo e padre De Fonneuve se ne furono  andati, cominciò per Durtal una terribile angoscia; non aspirava né di andare di nuovo a Parigi,  né a risiedere nella Val des Saints, senza più i Benedettini. Alla fine fu stabilita la partenza dell’Abate e degli ultimi padri. Alla stazione c’erano, oltre a Durtal, il signor Lampre e la De Garambois, il curato e il barone des Atours. La commozione prese tutti, dal padre Abate a tutti i presenti all’addio. La vita della Val des Saints diventò sinistra. Lo stesso borgo vide prosciugarsi la piccola economia del paese. Durtal fece da quarto per la recita dell’Ufficio, ma con quale malinconia! Una mattina il vignaiolo padre Paton mostrò il telegramma che aveva ricevuto. L’Abate avvisava della ripresa dell’Ufficio e ordinava la partenza dei due monaci per il Belgio. Dopo un pranzo di addio, molto mesto in verità, a casa del signor Lampre, arrivò il momento della partenza di Durtal per Parigi. Si conclude il romanzo con una preghiera di Durtal che chiede al Signore, ovunque egli vada a vivere, di essere lontano da se stesso e più vicino a Lui.    

                                                                                                                        Leonardo Gallotta

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