Beatrice si “svela” e Dante la mira nel suo celestiale splendore

Dopo essere però stato immerso da Matelda nel fiume Letè

   Nel canto XXX del Purgatorio Beatrice aveva accusato Dante di traviamento dalla retta via dopo la sua morte (si veda  il mio L’apparizione di Beatrice velata in questa stessa rubrica della Via Pulchritudinis)Nel XXXI canto, rivolgendosi ancora a Dante che si trova al di là del fiume Letè, gli chiede di confermare le accuse precedentemente rivoltegli. Dante è però così confuso che dalla sua bocca esce un “sì’” più visibile dal labiale che udibile dalla voce. Dopo di che, liberato dal grosso peso, scoppia in pianto con lacrime miste a sospiri. Beatrice allora lo invita a confessare anche la ragione dei suoi traviamenti e Dante risponde che dopo la sua morte fu attratto dai falsi piaceri dei beni terreni.

   Beatrice allora lo invita a smettere di piangere e ad ascoltarla: proprio la sua morte avrebbe dovuto fargli comprendere la caducità dei beni mondani. E qui c’è il riferimento ad una “pargoletta” o ad altra novità “con sì breve uso”, cioè di così breve durata. Ora “pargoletta” vale qui “giovane donna” e il termine è usato tale e quale nelle rime dantesche. Sono stati fatti i nomi di donne che in esse rime compaiono (Lisetta, Fioretta, Violetta), usati come senhal, ma anche no. Certo i tentativi di identificazione della “pargoletta” sono molti, ma rimangono tutti ipotetici. E poi c’è anche il traviamento riferito ad “altra novità”.  Questa consisterebbe, forse, nell’abbandono della poesia amorosa a favore di quella dottrinale e allegorica (si pensi alla ‘donna gentile’ citata nel Convivio che rappresenta la Filosofia), ma si potrebbe pure pensare ad una adesione a teorie filosofiche non in linea con l’ortodossia cattolica.

   C’è poi il riferimento al giovane uccellino che è facile sorprendere in due o tre mosse, mentre quello adulto, con più esperienza, si lascia colpire da una freccia o catturare in rete con molta più difficoltà.  Subito dopo tale paragone riferito a Dante, Beatrice lo incalza invitandolo ad alzare il viso e a guardarla, usando l’espressione “alza la barba” per significare, anche se Dante non se l’era mai fatta crescere, che era già adulto e avrebbe dovuto ben sapere qual era il retto cammino da seguire. L’espressione è intesa da Dante come “velenosa ironia”. “Levato al suo comando il mento”, essa gli appare tanto bella, pur sotto il velo che la ricopre, che prova così pesantemente vergogna e rimorso da cadere svenuto.

   Quando Dante riprende i sensi si trova immerso fino alla gola nelle acque del fiume Letè (la cui acqua cancella anche il ricordo dei peccati) e vede sopra di sé la bella Matelda (si veda il mio La divina foresta e la bella Matelda in questa stessa rubrica) che lo invita a tenersi stretto a lei, avanzando leggera sul fiume fino alla riva destra.

   Dante sente gli angeli che van cantando “Asperges me” (versetto 9 del Salmo 50) e viene completamente immerso nelle acque, per cui egli è costretto a berne. Poi, ancora bagnato, vien posto tra le quattro donne (le virtù cardinali) che con le braccia formano una specie di baldacchino che ricopre Dante e dicono: ”Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle; /pria che Beatrice discendesse al mondo, /fummo ordinate a lei per sue ancelle” (Pg, XXXI, vv. 106-108). Di poi conducono Dante davanti al petto del Grifone (per tutto il simbolismo ancor qui presente si veda in questa stessa rubrica il mio La più grande e ricca allegoria della Divina Commedia). Occorre comunque qui ricordare che il Grifone rappresenta Cristo stesso nelle sue due nature, divina (aquila) e umana (leone). Prospiciente ad esso sul Carro sta ora Beatrice e Dante dalle quattro ninfe è invitato a guardarla negli occhi.

   Così egli fa e si stupisce assai nel veder riflesso negli occhi di lei il Grifone che si trasmuta ora con uno ora con l’altro aspetto (ora aquila ora leone), pur rimanendo immobile. Mentre Dante è ancora pieno di stupore, le tre ninfe che danzavano alla destra del Carro (immagini delle tre virtù teologali) invitano Beatrice a svelare anche la bocca al suo fedele, così che Dante ne riesca a discernere appieno la bellezza celestiale che finora è rimasta nascosta. Il canto si chiude con Dante che retoricamente si chiede quale poeta mai avrebbe potuto descrivere la bellezza di lei che, una volta toltasi il velo, si mostrava nel suo “splendore di viva luce eterna”.

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