Leopardi e Baudelaire: poeti “cristiani”?

di Leonardo Gallotta

PREMESSA

   Quando un poeta può essere definito cristiano?  Bastano alcuni versi o singole poesie o brani estrapolati dall’opera complessiva? Bastano le suggestioni che vi può trovare un lettore dall’animo cristiano? Basta sapere che alla fine della sua vita un autore ha chiesto e ricevuto i sacramenti o dobbiamo invece considerarne l’opera nella sua interezza? E come non chiederci a quali conclusioni è giunto e quale messaggio ha voluto trasmettere ai suoi lettori? E individuare questo messaggio  – a volte esplicito e talora nascosto – non è forse il compito di chi si occupa di letteratura? E capire – nell’ottica della Nuova Evangelizzazione – che cosa il messaggio ha prodotto e che cosa ancora produce nell’animo dei lettori non è forse dovere  di un critico cattolico? Se poi ogni autore che esprime disagio esistenziale deve essere considerato, anche a sua insaputa, un cercatore di Dio e perciò stesso un cristiano implicito, credo che potremmo stilare una lista che più non finirebbe. Dico questo perché anche in ambito cattolico c’è chi  tende a fare confusione tra  le domande importanti e fondamentali per l’uomo poste da un autore e le conclusioni – considerata la sua opera complessiva – a cui esso giunge. 

LEOPARDI

   Se le domande che Leopardi pone a se stesso e ai suoi lettori costituiscono il punto di partenza per un cammino che conduca spiritualmente in alto, è cosa sicuramente apprezzabile ed è ciò che dovrebbe fare un docente di Letteratura: dare cioè ai propri studenti qualche input per capire se le risposte che l’autore dà e le conclusioni a cui giunge sono o non sono soddisfacenti. Ognuno è libero di assumere di fronte ad un autore gli atteggiamenti che più gli aggradano, però riguardo al Leopardi possiamo non tenere conto della abituale tripartizione del suo pessimismo in individuale e storico, cosmico ed eroico? Poi, come alcuni hanno fatto, possiamo anche pensare che egli non sia pessimista e però che sia materialista è un dato assodato, come è assodato che a partire dal 1819 (“conversione filosofica”) la sua adesione al cattolicesimo viene meno e che egli abbraccia definitivamente il sensismo e il materialismo meccanicistico settecentesco. Leopardi respinge qualsiasi ipotesi sull’esistenza di elementi spirituali nell’uomo a  partire dall’anima, concludendo che “il corpo è l’uomo” e dunque è “materia pensante”.  

   Partendo dal sensismo elabora la teoria del “piacere”.  Poiché l’uomo aspira naturalmente al piacere, ma  il desiderio è in se stesso illimitato, gli appagamenti reali sono insufficienti e l’uomo ne cerca di illusori, sperando sempre in una piena felicità futura oppure accontentandosi di raggiungerla solo con l’immaginazione (cfr. il v. 7 de L’infinito: “io nel pensier mi fingo”). Ora sul materialismo ci sono alcuni brani dello Zibaldone che sono illuminanti. In uno di essi si attacca la Prima lettera ai Corinzi di San Paolo (9,24-27) laddove l’Apostolo invita a trattare con durezza il corpo per ridurlo nella schiavitù dello spirito, concludendo che “Nel corpo servo anche l’anima è serva”. In un altro ci sono gli elementi per una lettura materialista de L’infinito.  L’uomo desidera sempre un piacere infinito, ma quello spirituale che noi concepiamo confusamente nei nostri desideri o nelle nostre sensazioni “non è altro che l’infinità o l’indefinito del materiale”. In un altro ancora, dopo avere argomentato filosoficamente sulla inesistenza di un primo ed universale principio creatore con tutti i suoi perfetti attributi , conclude: “Certo è che distrutte le forme platoniche preesistenti alle cose, è distrutto Iddio”. 

   Altri temi sono la morte e il suicidio. Nel Dialogo di Plotino e  di Porfirio quest’ultimo è deciso a suicidarsi e Plotino adduce vari classici argomenti contro questa decisione, ma Porfirio li smonta ad uno ad uno e in particolare nega che il suicidio sia contro natura, dato che è contro natura la stessa condizione dell’uomo, creato con un grandissimo bisogno di felicità e destinato però ad essere infelice. Non riuscendo più Plotino  ad argomentare filosoficamente esorta l’amico a non farlo per non provocare un enorme aumento del dolore delle persone care del suicida. Nell’Operetta non vien dato sapere se il suicida seguirà il consiglio dell’amico. 

Ci sarebbero molti altri temi da considerare, anche in relazione all’opera poetica complessiva la quale dai Piccoli ai Grandi Idilli, dalle dolci illusioni alla loro definitiva rinuncia ha sempre come sottofondo un pensiero poetante – tanto per richiamare un saggio su Leopardi di Antonio Prete del 2006 –  che si conclude con il testamento poetico de La Ginestra in cui mi riesce francamente difficile trovare qualcosa di cristiano. So che dicendo questo mi pongo in posizione conflittuale con tanti amici di don Giussani, ma non solo, anche perché pure don Divo Barsotti ha subìto il fascino del poeta recanatese (cfr. Divo Barsotti, La religione di Giacomo Leopardi, Ed. San Paolo 2008) giungendo ad affermare che il rifiuto del poeta a credere è una provocazione a Dio perché si riveli, anche se tale provocazione cade nel vuoto. E di fronte alle illusioni di questa e dell’altra vita la sua religione diviene angoscia, smarrimento, solitudine: tutto è destinato allo scacco. Unica realtà rimane la morte. E tuttavia l’opera poetica di Leopardi – dice ancora don Barsotti  – è  una delle più alte e commoventi testimonianze religiose del nostro Ottocento. Dio è allo stesso tempo la sua aspirazione più profonda e il bersaglio delle sue invettive. Leopardi è un cristiano che non sa credere in Dio.

 Non così Cesare Luporini che in un saggio del 1947 intitolato Leopardi progressivo mette in rilievo, secondo un’ottica marxista, l’approdo del recanatese al più convinto materialismo fino alla formulazione, negli ultimi anni, soprattutto con La ginestra, di un progetto di umanità sociale e progressiva: costruire cioè una “social catena” che basandosi sulla mera ragione e abbandonando le ”fole” religiose, lotti contro una Natura nemica ed empia. Insomma ci troveremmo di fronte ad un Leopardi pre o proto socialista, ma come quella di un Leopardi cristiano anche questa mi pare un’esagerazione. Certo è che nell’Ottocento Leopardi col suo ateismo, col suo materialismo, col suo anticattolicesimo fu una star poetica ammirata dai liberi pensatori di tutta Italia.

BAUDELAIRE

   Passiamo ora a considerare un altro poeta  ritenuto da alcuni “cristiano”, come ad esempio Davide Rondoni.  Si tratta di Charles Baudelaire, il famoso autore di Les fleurs du mal (I fiori del male), la cui aspirazione all’assoluto si traduce tuttavia in una ribellione contro le convenzioni della società del suo tempo e in una commistione tra arte e vita tipica del maledettismo d’oltralpe. L’autore francese vuole stupire su entrambi i fronti. Fu assiduo frequentatore di postriboli e assuntore di droghe sulle quali scrisse anche dei saggi,, spiegandone in modo particolareggiato gli effetti, soprattutto quelli dell’hashish. Quanto alla poesia è innegabile che la ribellione si manifesta esprimendo tematiche e situazioni mai prima di allora comparsi in opere poetiche. 

   Nel 1857 sei poesie della raccolta Les fleurs du mal  sono tacciate di immoralità, l’autore è processato e nelle successive edizioni i sei testi  vengono eliminati. Nell’atto di accusa del Tribunale della Senna si dice: “L’odioso è gomito a gomito con l’ignobile, il ripugnante si allea con l’infetto. Mai si sono visti mordere e perfino masticare tanti semi in così poche pagine, mai si è assistito a una simile rassegna di demoni, feti, diavoli, clorosi, gatti e parassiti”. Le sei poesie furono pubblicate nel 1866 a Bruxelles col titolo di Les Épaves (I relitti). Nelle prime due poesie il tema trattato era quello dell’omosessualità femminile. La prima è dedicata all’isola di Lesbo, la seconda è un dialogo tra due donne dopo l’atto d’amore. Ippolita, timorosa di avere peccato, vien fatta tacere da Delfina con la frase:”Chi dunque davanti all’amore osa parlare di inferno?” Le altre quattro poesie parlano di amore eterosessuale: Il Lete, A celle qui est trop gaie, Amore e morte, Amore e odio. In  Les Bijoux un atto sessuale è descritto in modo fin troppo esplicito e  nelle Metamorphoses du vampire  il poeta, mentre si appresta a baciare la sua partner,  si trova a contatto non con il suo corpo caldo,ma con pezzi di uno scheletro, come se fosse già in stato di decomposizione.

    I fiori del male costituiscono i tentativi di fuga in sei tappe da una realtà tetra. Nella quarta tappa, intitolata appunto I fiori del male  troviamo piaceri esagerati, sesso e droga, che non riescono però ad allontanare il poeta dalla noia esistenziale. Poi, quinta tappa,la ribellione a Dio ed ecco comparire Satana.. Fin dalla lirica Al lettore il Diavolo è presente: “Regge il Diavolo i fili che ci muovono!”. E poi tante altre poesie e versi. E ancora le Litanie di Satana  con una finale parodia del Gloria. Ma tutto questo non porta a nulla. Dalla noia si può uscire solo con la morte (ultima tappa dei Fiori). 

   Di fatto Baudelaire rimane sempre ancorato ad una esaltazione superba del suo essere poeta che gli impedisce  di fare spazio alla Grazia. Auerbach ha parlato di auto godimento della propria superbia di artista e Jean Royère ha parlato di una teologia che pone l’uomo al livello di Dio e questo è proprio il satanico movente del peccato originale. E dunque… non se ne viene fuori. Rimane solo la morte, fuga definitiva dall’angoscia esistenziale. Morte avvenuta nel 1869, per sifilide.

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